Romolo Bianco racconta una napoletanità fatta di sensazioni e atmosfere. L'odore della periferia addosso.
Bianco racconta vite clandestine e felicità "girate".
Pier Luigi Razzano - La Repubblica
Una storia crudele che da poco spazio ai sogni.
Carlo De Cesare - Tg3 Campania
Uno scritto che corre veloce, familiare ed estremo ad un tempo solo. Stridulo di contrasti che non ti aspetti. Dal gran ritmo.
Affilato come un rasoio, potente come un tuono.
Gabriele Ottaviani - Convenzionali
"Iodipiù" ci porta in una Napoli diversa, reale e poco conosciuta.
Una città "altra" non oleografica e neppure della cronaca o
della camorra da fiction.
La scrittura di Romolo Bianco arriva diritto al punto. All'essenziale.
Periferia orientale di Napoli, una famiglia piccolo borghese, una come tante.
Don Mario vende tappeti al mercato. Si alza che fuori è notte e all’alba è già in giro, polvere e sudore, mille pensieri e altrettanti caffè.
Don Mario non parla mai, è un marito e un padre assente, tutto silenzio e rughe. Finché una mattina incrocia gli occhi di Berta, una trans della Ferrovia; un incontro del tutto casuale, ma è così, del resto, che ti frega la vita: ci si guarda, si inizia a parlare e ci si innamora.
Don Mario a casa però ha Lucia che lo aspetta; l’ha messa incinta che era una studentessa, quella ragazza che sognava l’aristocrazia napoletana, e che poi un giorno si è risvegliata che viveva a Casoria e aveva due figlie già grandi.
Fortuna che ci sono loro: Marta, l’orgoglio di mammà, brillante laureanda in Medicina, e Anna, che invece la scuola l’ha lasciata anzitempo, e adesso sogna solo di sposare il suo Lino, uno senza arte né parte, null’altro da offrire se non il suo cuore e il suo amore.
Anna piange spesso, tra pile di piatti da lavare e fornelli da sgrassare, quindi stira, mette in ordine e rassetta, in un giorno che è sempre uguale. Fino a quando una scoperta non arriverà a capovolgere un mondo fatto di colori sbiaditi – grigio a perdita d’occhio, grigio senza soluzione di continuità – e odori tristi – quello acre degli pneumatici che ardono ai margini delle statali, accanto al puzzo di piscio dei vicoli.
A far da sfondo la calura insopportabile di certe estati a Napoli, il sapore metallico di notti lunghissime in cui tutto può accadere, e inconsapevoli burattini dal destino già segnato, cui non è concesso un altro giro di giostra – “Dacci il nostro orrore quotidiano, amen”.