La Resilienza della Lingua Napoletana

L’Unesco nel 2014 riconosce il napoletano come lingua, la più diffusa del Sud-Italia, secondo idioma della penisola dopo l’italiano. 

Una lingua che, oltre ad avere i riconosciuti criteri che elevano legittimamente un dialetto a livello di idioma, possiede peculiari caratteristiche.

In primo luogo una precisa identità sonora

La lingua napoletana è immediatamente riconoscibile anche da chi non ne comprende il significato. Molti attori teatrali italiani come Dario Fò, Proietti, fino a Brignano, in una sorta di “grammelot” alla napoletana hanno spesso sfruttato questa caratteristica per arrivare alla vis comica, basandosi esclusivamente sul suono del linguaggio partenopeo. 

In secondo luogo una resilienza lessicale.  

Il napoletano è estremamente parlato, e, l’Uso che ne si fa, attribuisce alla parola una capacità dinamica di adattamento all’evolversi della società. 

Molti studiosi sono spesso in disaccordo sul fenomeno dell’italianizzazione e inglesizzazione del napoletano, temendo una perdita di originarietà e criticando giustamente il modo con cui la lingua viene scritta. 

Questo atteggiamento denota una tendenza a sottovalutare la resilienza della lingua stessa, che non solo non subisce l’italiano, ma addirittura lo manipola, lo reinventa per sopravvivere, per stare al passo con i tempi. Ecco rientrare nel parlato comune partenopeo termini presi dall’italiano come ‘a connessione, ‘a notifica, ‘o contatto, che, come l’italiano, hanno risposto ad una esigenza di integrazione nelle comunità digitalizzate, in alternativa il napoletano sarebbe rimasto alle visioni poetiche di digiacomiana memoria. 

Molte parole inglesi sono rientrate nell’italiano, e di conseguenza nel napoletano, ma questa non deve considerarsi un’invasione di campo, piuttosto come una fase di evoluzione dell’idioma originario che inevitabilmente respira la “Koinè Diàlektos” dei tempi nostri, che vedranno presto il diffondersi di un linguaggio globalizzato, meno sintattico, più visivo e legato alla tecnologia. 

Eppure la lingua napoletana è ancora qui, non solo viva e parlata, ma immune all’italianizzazione e più vicina ad una specie di napoletanizzazione sia dell’italiano che dell’inglese. Ci sono termini napoletani ormai divenuti di uso comune in italiano come ‘o pezzotto, vù cumprà, pariare. Addirittura locuzioni anglosassoni che nel parlato napoletano assumono un significato nuovo, diverso persino dalla traduzione italiana, come la singolare espressione Stong tutto I Love You, ripresa dal verso di una canzone del misterioso cantante napoletano Liberato, idolo del web. 

La frase in italiano non significherebbe nulla, ma in napoletano identifica un preciso stato d’animo, di torpore, di stordimento, e non necessariamente di innamoramento. 

Forse l’unico problema da affrontare non è sul parlato, piuttosto su come la lingua debba essere scritta. Credo sia necessario un comune accordo tra gli esperti, evitando di stampare inutili grammatiche tutte diverse tra loro, autoreferenziali e fini a sé stesse. Concentrare gli sforzi e fare fronte comune per la realizzazione di un progetto più ambizioso, un’accademia della lingua napoletana dove poter ufficializzare e definire una sola linea guida per la scrittura, legittimando sul piano formale gli “usi” del brillante parlato. 

 

Foto di Gaetano Massa