
Parlare e scrivere di periferia oggi è diventato un trend, una moda, un brand che assicura l’attenzione dei media. La periferia ha perso la sua dimensione spaziale, territoriale, logistica per acquisirne un’altra.
Quella di Napoli, in particolare, è oggi un concetto a sé, scisso dalla città, è una realtà alternativa, un humus sempre fertile di materia prima dal sapore amaro, forte, con cui condire le discussioni stellate dei nuovi intellettuali, new radical chic, che giorno dopo giorno si proclamano conoscitori e sostenitori di mondi che non conoscono.
La periferia produce denaro, parlarne ne produce, scriverne ne produce, farne libri, film e serie televisive ne produce, eppure le problematiche che coinvolgono questi luoghi restano lì, come la denuncia sociale, abbandonata alla realtà inerme di gente per bene che oltre a subire i disagi connaturati alla periferia stessa, subisce in silenzio lo sciacallaggio di chi questi luoghi, questi problemi, e questi disagi se li vende per trarne profitto. E se qualcuno osa criticare una certa rappresentazione iperrealista e senza alcuna speranza della periferia ecco levarsi agguerrito un esercito di falsi e ipocriti, la maggior parte dei quali non conosce nemmeno i posti che presume di difendere, che osannano senza riserve furbi intellettuali milionari onniscienti.
Penne e firme di giornali, scrittori importanti pluripremiati che, dopo aver avuto il pregio di aver acceso i riflettori internazionali sul problema periferia, dall’altro lato hanno presentato il conto, lucrando sugli stessi problemi. Il malaffare rincorre il business, la denuncia del malaffare oggi fa lo stesso, diventa essa stessa business, al pari di ciò che dichiara di denunciare.
La visione della periferia napoletana che va di moda, quella nera, violenta, della malavita che affascina, e seduce, raccontata tra le pagine e sugli schermi, diventa l’unica periferia possibile, aprendo le porte alla sconfitta, allo sconforto, alla rinuncia, per tutti coloro che non vogliono andare via dai posti dove sono nati, per quelli che vogliono vincere qui, senza emigrare chissà dove.
E’ una periferia mortificata in una diversa concezione di bellezza, volutamente di rottura e provocatoria, arrogante, volgare, cruda, amorale. Si fa largo un’estetica tribale che ha come unico obiettivo quello di scandalizzare una “borghesia” che da un lato ripudia queste realtà e dall’altro ne resta affascinata.
I figli di queste strade stanno a guardare, ascoltano, sottovoce parlano e non sanno più dove andare, rischiano di perdersi dietro ad eroi sbagliati, a vite sbandate, dimenticando il confine tra la realtà e la finzione nelle movide violente del sabato sera. Una periferia diversa è possibile, deve essere possibile, e le fondamenta bisogna metterle nelle scuole, nelle aule, tra i banchi, educando alla bellezza, all’arte, quella che non deve spettacolarizzare il male per avere successo.
Questo credo sia l’unica soluzione possibile.
Foto di Gaetano Massa